Nonostante sia chiaro l'orientamento della Giurisprudenza nell'inquadrare l'uso improprio dei social media tra i licenziamenti per giusta causa, sembra proprio che l'utilizzo improprio di Twitter e Facebook resti il tallone d'Achille per molti dipendenti.

In Italia, l'ultimo episodio è successo proprio su Facebook. Un dipendente è stato licenziato per aver definito una collega "Milf". Lo ha stabilito la sentenza del Tribunale di Ivrea: il giudice ha osservato che post e commenti pubblicati non si trovavano all’interno di un gruppo chiuso, ma erano “potenzialmente visibili a tutti gli utenti dei social media” e che la rimozione è avvenuta solo a seguito di esplicita diffida da parte dell’azienda.
La sentenza ha citato gli artt. 81 cpv, 595 c. 1 e 3 cod. penale e ritenuto le espressioni usate "di assoluta gravità". Niente da fare per l'uomo che ha provato anche a chiedere il reintegro: ha dovuto provvedere anche alle spese processuali.