Quanti sono i disoccupati in Italia? Qual è la percentuale di musulmani nel nostro paese? Gli omicidi in Italia stanno aumentando? La società di ricerca Ipsos Mori ha fatto queste domande in 14 paesi l’anno scorso e gli italiani sono risultati il popolo più ignorante.

Alla pubblicazione del report del 2014 noi italiani ci siamo un po’ offesi. A nessuno piace sentirsi dare dell’ignorante ma questo non cambia il fatto che molto spesso la nostra percezione del mondo sia piuttosto lontana dalla realtà. Siamo ‘ignoranti’ nel senso che spesso ignoriamo dati e fatti fondamentali su temi che tanto ci fanno infervorare.
In maniera meno spiccata, questo succede anche nei Paesi che secondo lo studio sono i meglio informati. I tedeschi e gli svedesi, ad esempio, sovrastimano, e di molto, il numero di emigrati e il numero di madri minorenni nei loro Paesi.

Secondo Ipsos, però gli italiani tendono più di altri a filtrare attraverso opinioni preconcette le informazioni che ricevono, semplificandole fino a creare delle scorciatoie mentali basate sulla narrativa prevalente e quella comunemente accettata o ritenuta più accettabile in famiglia, a lavoro o tra conoscenti. Con un riferimento alle scienze comportamentali, Ispos spiega che abbiamo la tendenza a crearci delle certezze dove non è semplice trovarne, cioè quando siamo davanti a questioni complesse o situazioni nuove. Prendiamo in prestito opinioni da fonti che riteniamo attendibili senza assicurarci che lo siano davvero e le usiamo come ancore cognitive per arrivare a conclusioni semplicistiche su questioni complesse. Scorciatoie appunto, che usiamo per filtrare le informazioni e decidere velocemente se prenderle per buone, ma scambiando, a volte, affermazioni opinabili per fatti assodati.

Per esempio, sentiamo sempre parlare di bassa natalità e paese che invecchia. Questo naturalmente è vero. Ma quando Ipsos ci ha chiesto quale fosse la percentuale di over 65 in Italia e abbiamo provato a quantificare questo ‘invecchiamento della popolazione’, molti hanno risposto che quasi la metà della popolazione italiana è in età da pensionamento. Abbiamo semplificato ed estremizzato, e abbiamo dipinto per i ricercatori l’immagine di un Paese quasi senza speranza, dove la metà della popolazione ha oltre 65 anni e degli altri, la metà è disoccupata. Catastrofico.

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Pensiamo che una ragazzina su 6 diventi madre prima di poter prendere la patente (le minorenni Italiane che hanno figli sono lo 0.5% non il 17%) e che sia in atto una sorta di invasione islamica (i musulmani in Italia sono invece il 4% non il 20% come i più credono).

Questo golfo tra la nostra percezione del mondo e la realtà dei fatti è preoccupante perché ha un impatto enorme sulle nostre scelte economiche, personali e politiche, può distorcere il dibattito politico del paese e in alcuni casi influenzare il suo andamento economico. È quindi interessante vedere come quest’anno il rapporto di Ipsos sui 14 paesi monitorati spieghi che all’origine di tanta ignoranza ci sia il fatto che gli esseri umani in generale e – sembrerebbe – gli italiani in particolare tendono a interpretare la realtà che li circonda basandosi su opinioni preconcette o prese in prestito.

Secondo Ipsos alla base di tutto c’è una normalissima strategia di sopravvivenza: ogni giorno riceviamo talmente tante informazioni che necessariamente ci troviamo a doverle filtrare e interpretare secondo un sistema di ‘convincimenti guida’. Il problema sorge quando l’uso di scorciatoie mentali prende il sopravvento sul nostro senso critico e quindi ci auto-limitano nell’apprendere ed elaborare dati e informazioni nuove, essenziali perché continuiamo ad adattarci a situazioni nuove e quindi a sopravvivere. Per questo può essere piuttosto difficile sfatare opinioni consolidate semplicemente fornendo i dati reali. Il filtro, una volta creato, tende a renderci impermeabili a evidenze e fatti che vanno a minare le nostre persuasioni consolidate, indipendentemente dall’attendibilità e autorevolezza delle fonti.

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Alla base della distanza tra le risposte date ai ricercatori e la realtà però c’è anche la poca dimestichezza che tanti hanno con i numeri. Percentuali e cifre con molti zeri sembrano troppo astratte, quindi probabilmente sappiamo fare una stima di quanti dei nostri conoscenti abbiano una seconda casa, ma non siamo in grado di quantificare quando i 60 milioni di italiani sono la base.
Gli italiani tendono a sovrastimare situazioni inedite (immigrazione di massa verso l’Italia) o che vengono presentate come una fonte di potenziali problemi (presenza di musulmani in Italia) perché troppo spesso le nostre emozioni, non le informazioni fattuali, sono alla base della nostra percezione. Secondo lo stesso studio molti di noi sono terrorizzati da attacchi nucleari o chimici e il 60% di noi pensa che un’epidemia di ebola in Italia sia un’eventualità estremamente concreta. Ma in pochi stanno svegli la notte per colpa del colesterolo alto nonostante le malattie ischemiche del cuore siano la prima causa di morte in Italia (75.098 casi).

Ipsos spiega che il rischio per il nostro Paese è che i cittadini diventino sempre meno capaci di discernere tra percezioni e realtà, costruendosi una corazza di scetticismo e sviluppando una tendenza a stare sempre sulla difensiva e perdere fiducia. Abbiamo insomma la tendenza a guardare il Paese con lenti grigie e tendiamo a interpretare tutte le informazioni e gli stimoli che riceviamo secondo un sistema di comprensione impregnato di sconforto e apatia. Col tempo, corriamo il pericolo di diventare un Paese trincerato dietro un’attitudine genericamente negativa alla vita e al futuro, incapace di immaginare, e quindi di sviluppare, soluzioni ai nostri problemi.

Secondo il report, la scuola, fin dai primi anni, può e deve aiutare ad acquistare familiarità con numeri e fatti e impegnarsi di più per insegnare ai giovani un metodo di ricerca e sviluppare il senso critico necessario per discernere tra percezioni e fatti. Imparare a mediare le nostre risposte emotive con analisi razionali sembra il modo migliore per riequilibrare la percezione, a volte eccessivamente negativa, che abbiamo del nostro Paese e dei suoi problemi. Problemi veri, che nessuno può negare, e cambiamenti profondi che naturalmente non vanno sottovalutati ma che possono essere compresi pienamente e affrontati solo se acquisiamo collettivamente una maggiore consapevolezza del Paese.

Esiste certamente anche una responsabilità dei mezzi di informazione che a volte cavalcano allarmismi ingiustificati ed esiste una responsabilità della politica del panico collettivo che trova terreno fin troppo fertile in momenti di crisi economica o instabilità.

E sarà un’ovvietà ma forse vale la pena ripeterlo: esiste soprattutto una responsabilità individuale. La responsabilità che abbiamo tutti noi, quando condividiamo link di dubbia provenienza, quando ci indigniamo per un sentito dire e quando decidiamo di ignorare fatti o dati che in qualche modo indeboliscono o confutano le nostre idee preconcette.
Proviamoci, anche solo per non fare la figura degli ‘ignoranti’ la prossima volta che ci chiamano i ricercatori Ipsos.

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