24 giugno 2015

I meccanismi condivisi di memoria e ritmi circadiani

La formazione e il consolidamento delle memorie a lungo termine sfruttano alcuni meccanismi coinvolti nella regolazione del ciclo sonno-veglia. In particolare sono coinvolti due fattori di trascrizione e il fattore di crescita insulinosimile 2(red)

La regolazione del sonno e la formazione della memoria a lungo termine condividono alcuni processi molecolari di controllo. E' questa la conclusione di una ricerca condotta da neuroscienziati del Max Planck Institut per la medicina sperimentale di Göttingen, in Germania, che firmano un articolo sui “Proceeedings of the National Academy of Sciences”.

I meccanismi condivisi di memoria e ritmi circadiani
© Image Source/Corbis
Molti aspetti dei processi cognitivi che controllano la formazione delle memorie (e quindi dell'apprendimento) sono stati associati a diverse aree cerebrali fra cui l' ippocampo e la corteccia anteriore. In particolare, alcuni indizi suggeriscono che il consolidamento a lungo termine della memoria comporta un graduale trasferimento di tracce mnemoniche dalle reti neuronali dell'ippocampo a moduli corticali stabilmente integrati nella corteccia cingolata anteriore (ACC).

D'altra parte, vari studi hanno indicato che il sonno ha anch'esso un ruolo nel consolidamento della memoria. E poiché molti aspetti del comportamento correlati al sistema che controlla il ciclo sonno-veglia sono regolati da particolari “geni orologio” è quindi possibile che questi geni siano coinvolti anche nei  processi cognitivi.

Per verificarlo, Ali Shahmoradi e colleghi hanno studiato il consolidamento di memorie di paura in diversi ceppi di topi, alcuni dei quali geneticamente modificati in modo che non esprimessero, o esprimessero in modo ridotto, alcuni fattori di trascrizione, Sharp-1 3 Sharp-2, coinvolti nella modulazione dei ritmi circadiani.

Dagli esperimenti, i ricercatori hanno rilevato che negli esemplari geneticamente mutati la formazione di memorie a lungo termine era notevolmente potenziata: i topi mutanti erano molto più diffidenti degli altri di fronte a uno stimolo simile a quello che tempo prima (fino a 29 giorni prima) era stato
associato a un effetto spiacevole. La memoria a breve termine non è invece apparsa modificata: quando lo stimolo veniva ripresentato a distanza di minuti o ore dall'esperienza spiacevole, il comportamento dei topi mutanti e normali era perfettamente identico.

L'analisi molecolare del tessuto cerebrale dei topi ha poi mostrato che in quelli mutanti, a seguito del blocco di Sharp-1 e Sharp-2, nella corteccia cingolata anteriore i livelli del fattore di crescita insulinosimile 2 (IGF 2) erano molto più  elevati rispetto a quelli dei topi normali. Ulteriori esperimenti hanno confermato che l'aumento di IFG 2 a livello cerebrale consente un consolidamento migliore e più efficiente della memoria.