13 maggio 2015

L'impronta digitale dei batteri che ospitiamo

La composizione delle popolazioni di batteri che ognuno di noi ospita è così variabile da persona a persona e stabile nel tempo che rappresenta una sorta di impronta digitale. La possibilità di identificare una persona solo con il DNA di quei microbi e quindi senza DNA umano offre nuove opportunità ma solleva anche nuovi problemi relativi alla privacy(red)

Le comunità microbiche che vivono nel nostro corpo, o microbiomi, sono sufficientemente varie da individuo a individuo e stabili nel tempo da permettere di identificare le diverse persone. In altre parole, i microbiomi rappresentano una sorta di impronta digitale della persona. A scoprirlo è stata una ricerca effettuata da biologi della Harvard School of Public Health a Boston, che firmano un articolo pubblicato sui "Proceedings of the National Academy of Sciences".

Numerosi studi recenti avevano rilevato la notevole varietà tra persone della composizione delle rispettive flore batteriche intestinali, tanto da suscitare il sospetto che ogni individuo avesse un proprio caratteristico microbioma. Eric A. Franzosa e colleghi hanno testato questa ipotesi analizzando i dati raccolti dallo Human Microbiome Project, una banca dati aperta ai ricercatori che raccoglie i dati genetici dei microrganismi che compongono i diversi microbiomi del corpo umano. I dati provengono da volontari che hanno partecipato a ricerche di carattere medico e riguardano non soli i batteri dell'intestino, ma anche quelli che compongono i microbiomi ospitati in altre parti del corpo, come pelle, mucosa orale e vaginale, saliva.

L'impronta digitale dei batteri che ospitiamo
I microbiomi ospitati dall'organismo umano sono molteplici, e alcune parti del corpo ospitano le popolazioni batteriche più abbondanti e variegate. Si stima che il peso complessivo di questi microbiomi superi in chilogrammo (Cortesia  American Academy of Microbiology)
In particolare, Franzosa e colleghi prima hanno sviluppato un algoritmo che assegna a ogni microbioma un codice che ne riassume le caratteristiche salienti, poi hanno proceduto al prelievo di nuovi campioni dei diversi microbiomi di quegli stessi soggetti. Questi duplici prelievi sono avvenuti a distanza di un mese e di un anno dal prelievo che era stato catalogato nello Human Microbiome Project. Dopo aver analizzato i nuovi campioni e ricavato il codice, i ricercatori sono stati in grado di stabilire a quale persona apparteneva ciascuno di essi sulla base del solo confronto con il codice originario. Nel caso del microbioma intestinale l'affidabilità
del metodo è stata superiore all'80 per cento.

"La possibilità di collegare un campione di DNA umano con le impronte digitali genetiche di una persona archiviate in una banca dati è il fondamento della genetica forense, un campo che ormai vanta decenni di vita. Oggi abbiamo dimostrato che è possibile stabilire lo stesso tipo di collegamento anche in assenza di DNA umano: sono sufficienti sequenze di DNA dei microbi che abitano il corpo umano", ha detto Franzosa.

Anche se il metodo va ulteriormente affinato e validato su campioni di persone più ampi di quelli usati dai ricercatori, secondo Curtis Huttenhower, che ha partecipato alla ricerca, questi risultati aprono nuove questioni di tipo etico: "Anche se il rischio di potenziali intromissioni nella privacy delle persone sulla base di dati relativi al DNA microbico è molto basso, è importante che i ricercatori sappiano che problemi di questo tipo teoricamente potrebbero sorgere".