Italian Tech

Ecco l'Italia del videogame intelligente:
la critica "gsocial" della Molleindustria

Con "The best amendment" l'azienda lancia un messaggio (interattivo) alla società della violenza facile. Con un gioco dal sapore particolare, che cita Bradbury: ""Al malvagio, il buono appare come il malvagio". In dieci anni di attività, molti apprezzamenti e qualche scontro con la politica. Per un intellettuale-programmatore che si esprime attraverso i videogiochi di IVAN FULCO

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"L'UNICA cosa che può fermare una persona cattiva con una pistola è una persona buona con una pistola". Parola di Wayne LaPierre, vicepresidente della National Rifle Association (NRA), l'anima oscura di quella parte degli Stati Uniti che professa la diffusione delle armi da fuoco. E ora implicita protagonista di "The Best Amendment", l'ultimo videogioco di critica dell'italiana Molleindustria. L'idea? Rileggere come un innocuo sparatutto in stile cartoon il dibattito sul controllo delle armi. Anche se, alla fine, non tutto è come sembra. Un'idea insieme globale e sociale, "gsocial". Per l'Italia della creatività intelligente che parla al mondo.

IMMAGINI: MOLLEINDUSTRIA, SATIRA 2.0 E POLEMICHE

Il miglior emendamento. The Best Amendment (disponibile per PC, Mac e Linux) è "uno sparatutto tattico che richiede di pensare a quattro dimensioni", spiega sul suo sito Paolo Pedercini, deus ex machina della Molleindustria. E in effetti, come molti altri videogiochi politici, il suo è un gioco diverso dai classici titoli commerciali, con un'anima elementare ma un forte messaggio satirico tra le righe. Il giocatore prende il controllo di un protagonista "buono", di bianco vestito e con arma d'ordinanza, con l'obiettivo di eliminare un antagonista avvolto in un mantello oscuro. Dopo l'esecuzione, tuttavia, lo schermo sfuma in nero e l'azione, come un qualsiasi "Giorno della marmotta", riprende dal principio. Il giocatore si ritrova così al controllo di un altro protagonista in bianco, chiamato stavolta a uccidere due avversari in nero. Peccato che entrambi questi ultimi siamo noi stessi, replicati in tutto e per tutto dalla fase d'azione precedente, sparatorie incluse. Il gioco prosegue così, aggiungendo un clone dopo l'altro, immergendoci in dieci secondi di panico che si ripetono a oltranza, e in cui i ruoli perdono all'istante di significato. Bianco e nero, buono e cattivo, vittima e carnefice. Fino a quando, ovviamente, il caos non prende il sopravvento.

"Al malvagio, il buono appare come il malvagio", si legge nell'omaggio a Ray Bradbury all'inizio di ogni partita. Ma oltre questo richiamo letterario, il piccolo Flash game della Molleindustria è pregno di dettagli ironici. È il caso della descrizione ufficiale, in cui si citano punti di forza come "sangue realistico!", "infiniti livelli!", ma anche "relativismo morale!". Oppure del fatto che non esista un vero finale, ma il game over coincida con l'inevitabile morte del protagonista. "L'inferno sono gli altri – si legge nella pagina web – Ma cosa accade se gli altri siamo noi?". 

Molleindustria, anno dieci. Paolo Pedercini, voce unica della Molleindustria, è da tempo un punto di riferimento della critica socio-politica attraverso i videogiochi. Da quando, nel lontano 2003, esordì in Rete con il suo primo titolo, Tamatipico, una critica in "stile Tamagotchi" al sistema del lavoro flessibile. Da quel giorno sono seguiti circa altri venti giochi, come Unmanned, Every Day the Same Dream o Operazione: Pretofilia, che hanno esplorato le contraddizioni della guerra moderna, della società post-industriale o della Chiesa cattolica. Un percorso decennale che alla Molleindustria è valso numerosi riconoscimenti, ma anche alcuni incidenti (poco) diplomatici. 

Nel 2007, fu Operazione: Pretofilia a scatenare le polemiche, quando Luca Volontè, al tempo capogruppo dell'Udc alla Camera, riuscì con un'interpellanza parlamentare a far oscurare temporaneamente il sito dello sviluppatore italiano. Due anni dopo, nel 2009, fu la volta di Faith Fighter, un "blasfemo" picchiaduro tra divinità che suscitò le proteste dell'Organizzazione della Conferenza Islamica. Altri due anni più tardi, nel 2011, arrivò il bando dall'App Store del discusso Phone Story, un videogioco che criticava lo sfruttamento dei lavoratori impegnati nella produzione di smartphone, iPhone in primis.

Ma i tempi cambiano. Nel 2003, i videogiochi politici erano una stramberia da giovani geek. Oggi Pedercini insegna alla School of Art della Carnegie Mellon University e la stampa internazionale si interessa costantemente al suo lavoro. A 32 anni, è uno dei pochissimi intellettuali italiani che si esprimono attraverso i videogiochi. Anche se, per qualcuno, questo concetto è ancora un ossimoro.